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Impresa individuale e scioglimento della comunione dei beni, al coniuge non intestatario il mero diritto di credito

  • 10/11/2022

 

"Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all'altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell'azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data". È questo il principio di diritto elaborato delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa individuale e comunione de residuo.

Il principio è stato elaborato dalla Suprema Corte chiamata a decidere di un complesso caso di scioglimento della comunione legale di due coniugi. Giunto in Cassazione dopo una sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che riconosceva al coniuge non titolare dell’impresa individuale la posizione giuridica creditizia, il caso è stato rinviato dalla Seconda Sezione Civile al Presidente della Corte di Cassazione perché ne valutasse l’opportunità di rimessione alle Sezioni Unite. Nella dottrina e nella giurisprudenza esistono, infatti, due tesi: una per la natura reale del diritto del coniuge non intestatario, fondata sul tenore letterale dell’articolo 178 del Codice civile (Beni destinati all'esercizio di impresa  - I beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa), mentre l’altra tesi attribuisce natura obbligatoria alla posizione giuridica.

Le Sezioni Unite optano per la tesi della natura di diritto di credito. Secondo quanto si legge in sentenza (Cfr. punto 7.3), le esigenze solidaristiche familiari sono da considerare “recessive a fronte dell'esigenza di assicurare il soddisfacimento di altri concorrenti diritti di pari dignità costituzionale, inducano a prediligere la tesi della natura creditizia del diritto sui beni oggetto della comunione de residuo, tesi che, senza vanificare in termini patrimoniali l'aspettativa vantata dal coniuge sui beni in oggetto, tra l'altro garantisce la permanenza della disponibilità dei frutti e dei proventi e dell'autonomia gestionale, quanto all'impresa, in capo all'altro coniuge, nelle ipotesi previste dall'art. 178 c.c., evitando un pregiudizio altresì per le ragioni dei creditori, consentendo in tal modo la sopravvivenza dell'impresa, e senza che le vicende dei coniugi possano avere una diretta incidenza sulle sorti della stessa”.

Il diritto del coniuge d’altronde, secondo quanto indica la Corte di Cassazione, va bilanciato con l’esigenza di tutela dei terzi e l’interesse dell’ordinamento alla sopravvivenza dell’impresa. “Il potenziale attentato che la tesi della natura reale è in grado di arrecare alla stessa sopravvivenza dell’impresa del coniuge denota altresì – affermano, infatti le Sezioni Unite - come siffatta opzione ermeneutica si ponga in controtendenza con l’esigenza, fortemente sostenuta a livello sovranazionale, ed in particolare  , di approntare validi strumenti, anche dal punto di vista legislativo, per assicurare la sopravvivenza delle imprese a fronte di vicende potenzialmente destabilizzanti, come appunto testimoniato dalla scelta legislativa, in vista dell’evento morte dell’imprenditore, compiuta con la previsione del cd. patto di famiglia”.

"Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all'altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell'azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data". È questo il principio di diritto elaborato delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza 17 maggio 2022 n. 15889, su impresa individuale e comunione de residuo.

Il principio è stato elaborato dalla Suprema Corte chiamata a decidere di un complesso caso di scioglimento della comunione legale di due coniugi. Giunto in Cassazione dopo una sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che riconosceva al coniuge non titolare dell’impresa individuale la posizione giuridica creditizia, il caso è stato rinviato dalla Seconda Sezione Civile al Presidente della Corte di Cassazione perché ne valutasse l’opportunità di rimessione alle Sezioni Unite. Nella dottrina e nella giurisprudenza esistono, infatti, due tesi: una per la natura reale del diritto del coniuge non intestatario, fondata sul tenore letterale dell’articolo 178 del Codice civile (Beni destinati all'esercizio di impresa  - I beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa), mentre l’altra tesi attribuisce natura obbligatoria alla posizione giuridica.

Le Sezioni Unite optano per la tesi della natura di diritto di credito. Secondo quanto si legge in sentenza (Cfr. punto 7.3), le esigenze solidaristiche familiari sono da considerare “recessive a fronte dell'esigenza di assicurare il soddisfacimento di altri concorrenti diritti di pari dignità costituzionale, inducano a prediligere la tesi della natura creditizia del diritto sui beni oggetto della comunione de residuo, tesi che, senza vanificare in termini patrimoniali l'aspettativa vantata dal coniuge sui beni in oggetto, tra l'altro garantisce la permanenza della disponibilità dei frutti e dei proventi e dell'autonomia gestionale, quanto all'impresa, in capo all'altro coniuge, nelle ipotesi previste dall'art. 178 c.c., evitando un pregiudizio altresì per le ragioni dei creditori, consentendo in tal modo la sopravvivenza dell'impresa, e senza che le vicende dei coniugi possano avere una diretta incidenza sulle sorti della stessa”.

Il diritto del coniuge d’altronde, secondo quanto indica la Corte di Cassazione, va bilanciato con l’esigenza di tutela dei terzi e l’interesse dell’ordinamento alla sopravvivenza dell’impresa. “Il potenziale attentato che la tesi della natura reale è in grado di arrecare alla stessa sopravvivenza dell’impresa del coniuge denota altresì – affermano, infatti le Sezioni Unite - come siffatta opzione ermeneutica si ponga in controtendenza con l’esigenza, fortemente sostenuta a livello sovranazionale, ed in particolare  , di approntare validi strumenti, anche dal punto di vista legislativo, per assicurare la sopravvivenza delle imprese a fronte di vicende potenzialmente destabilizzanti, come appunto testimoniato dalla scelta legislativa, in vista dell’evento morte dell’imprenditore, compiuta con la previsione del cd. patto di famiglia”.