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Anche nella divisione giudiziale di una comunione ereditaria immobiliare, deve osservarsi la regolarità urbanistica

  • 17/04/2023

Il tema

Scioglimento della comunione ai sensi dell’art. 1111 c.c., avente ad oggetto un edificio e la conformità edilizia.

È questo l’oggetto della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza 9 marzo 2023, n. 7020, sez. II civile.

Il caso

Due fratelli si rivolgevano all’Autorità Giudiziaria per chiedere di sciogliere la comunione immobiliare tra loro creatasi per successione in morte del proprio genitore.

La legge da applicare

La legislazione vigente in materia (art. 40, comma 2, della Legge n. 47 del 1985; oggi art. 46, comma 1, del D.p.r. n. 380 del 2001) impone, a pena di nullità, le cd. Menzioni urbanistiche anche per gli atti tra vivi di divisione di preesistenti stati di comproprietà immobiliare, sia ereditaria sia ordinaria.

Tanto la prima norma (applicabile ratione temporis a tutti gli atti, aventi ad oggetto immobili realizzati prima del 17 marzo 1985, ma stipulati tra tale data e il primo gennaio 2002) quanto la seconda norma, riferita agli atti tra vivi aventi ad oggetto tutti gli immobili realizzati dopo il 17 marzo 1985, prescrivono che su “dichiarazione dell’alienante” vengano dettagliatamente riportati gli estremi dei titoli edilizi abilitativi (anche eventualmente rilasciati in sanatoria) con cui gli stessi siano stati edificati.

Unica eccezione è rappresentata dalla previsione dell’art. 40, comma 2, sopra citato, secondo cui, è ammessa per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia (o degli altri titoli abilitativi), una dichiarazione sostitutiva di atto notorio (ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all’atto), rilasciata dal proprietario o altro avente titolo attestante che lopera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967.

La regola trasposta in sede di divisione giudiziale

Ebbene, nello stesso modo in cui è prevista la regolarità urbanistica per la validità degli atti negoziali rogati dal Notaio, anche quando sia proposta domanda giudiziale di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria), la divisione non potrebbe essere disposta ove coinvolgesse un fabbricato abusivo o parti di esso.

Sul piano strettamente processuale, anzitutto, la conformità edilizia del manufatto integra condizione dell’azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della “possibilità giuridica”.

La pronuncia del giudice non potrebbe infatti realizzare un effetto giuridico maggiore e diverso rispetto a quanto sia consentito alle parti conseguire nell’esercizio della propria autonomia negoziale.

Peraltro, tanto la mancanza della documentazione attestante la legittima costruzione dell’edificio quanto il mancato esame di essa da parte del giudice, costituiscono vizi rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

Del resto, va chiarito come una simile preclusione non investa il giudizio di divisione nella sua interezza, ove esso fosse più ampio, ma riguarderebbe solo il filone rivolto allo specifico immobile risultato abusivo.

Le conclusioni della Suprema Corte rinvengono il proprio fondamento giuridico direttamete dalla verba legis, in considerazione del fatto che la normativa citata pone quale unica eccezione il caso dei trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali, nonché quelli derivanti da procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa. In questi casi, infatti, il legislatore compie una valutazione di bilanciamento di diversi interessi, in cui pone al primo posto il soddisfacimento del diritto creditizio sottostante.

Fatta salva tale ipotesi, dunque, alcuna differenza di ratio si può cogliere tra la divisione negoziale e quella giudiziale, dovendo considerare piuttosto quest’ultima un’unica fattispecie omogenea, indipendentemente dal titolo da cui scaturisca, e, dunque, sottoporla alla medesima regola.

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