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Agevolazioni prima casa: il coniuge in separazione dei beni decade dal beneficio se non trasferisce la propria residenza ai sensi di legge

  • 27/04/2023

Se si acquista un appartamento in regime di separazione dei beni e uno dei coniugi non trasferisce la propria residenza nello stesso Comune in cui l’immobile si trova, non si applicano (per lui) le agevolazioni per l’acquisto della prima casa. La regola è deducibile da una recente ordinanza della Corte di Cassazione (2 febbraio 2023, n. 3123, sez. V), che si è pronunciata in conseguenza del ricorso avverso un avviso di liquidazione dell’Agenzia delle Entrate.

Il Caso

Due coniugi insieme ai propri figli nel 2010 avevano acquistato un immobile da soggetto imprenditore, ricorrendo ai benefici di "prima casa" ai fini I.v.a., di cui al D.P.R. n. 633/1972.

Tutti vi avevano trasferito la propria residenza, ad eccezione del marito.

Decorso il termine di legge (18 mesi dal rogito, oggi, comunque al netto delle numerose proroghe, occorse in fase di pandemia da Covid-19), quindi, l’Agenzia delle Entrate emetteva l'avviso di liquidazione, irrrogando le relative sanzioni per il recupero della differenza tra l’importo dell’Iva già versata e quella da versare, al netto dell’agevolazione (non godibile), oltre accessori.

Per tale versamento, peraltro, vigeva il regime di responsabilità solidale dei contitolari del bene.

Veniva così presentato ricorso, che la Commissione tributaria provinciale di Bari accoglieva parzialmente, rilevando che la decadenza dal beneficio fiscale (con le relative sanzioni) poteva applicarsi soltanto nei confronti di chi non avesse assolto all’onere di trasferire la propria residenza nei termini di legge, risultando la stessa, viceversa, illegittima nei confronti di coloro (moglie e figli) che avevano osservato l’obbligo di legge.

Veniva proposto appello da tutti i contribuenti coinvolti, invocandosi l’estensione del beneficio anche al coniuge che non avesse trasferito la propria residenza, risultando quell’immobile in ogni caso luogo deputato ad essere la residenza di tutto il nucleo familiare.

Tuttavia, la Commissione Tributaria regionale della Puglia, rigettava l’appello, confermando la pronuncia di primo grado.

Uniformandosi alla giurisprudenza di legittimità, la stessa ha avuto modo di sottolineare che l’unica condizione affinché il coniuge non residente possa comunque godere del beneficio è che l'acquisto immobiliare sia stato compiuto in regime di comunione legale, solo in tal caso potendo dunque venire in rilievo il concetto di "residenza della famiglia".

Ciononostante, i soccombenti proponevano ricorso per Cassazione.

L’Ordinanza della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il suddetto ricorso, confermando la decisione del giudice di merito e ribadendo l’impossibilità di applicare l’agevolazione di prima casa ‘in estensione’ al coniuge non residente ove l’acquisto sia avvenuto in regime patrimoniale di separazione dei beni.

Infatti, per usufruire dei benefici in oggetto, la Nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa Parte Prima allegata al D.p.r. n. 131/1986, in materia di imposta di registro – da applicarsi anche agli acquisti soggetti a I.v.a., ai sensi dell’art. 21 della Tabella allegata al D.p.r. n. 633/1972 – prescrive, tra i vari requisiti, quello di essere residenti nello stesso Comune in cui è ubicato l’immobile, ovvero di trasferirvi la propria residenza entro il termine di 18 mesi dal rogito.

Su tale base, i giudici di legittimità hanno avuto modo di affermare che “il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l'immobile va riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l'immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione quindi sia in caso di acquisto separato che in caso di acquisto congiunto del bene stesso”.

Viceversa, se l’acquisto è avvenuto in regime di separazione dei beni, ai fini fiscali, non può applicarsi lo stesso principio e a nulla può rilevare l’argomento secondo cui possa assumere importanza il riferimento all’estensione del godimento dell’abitazione sull’appartamento anche in favore dell’altro coniuge, ai sensi dell’art. 1022 del Codice Civile.

Il concetto di ‘residenza familiare’ (e le relative conseguenze in favore anche dell’altro coniuge) può applicarsi solo ove, indipendentemente dalla misura del contributo finanziario di ciascuno, sia stato scelto un regime improntato alla solidarietà familiare, quale quello di comunione legale dei beni.

La Suprema Corte ribadisce allora che “Nell'ipotesi qui in esame, invece, l'acquisto del diritto assume una connotazione ‘egoistica’ (o ‘individualistica’) in capo a ciascuno dei coniugi, e i bisogni della famiglia non sono riferiti al diritto del nucleo familiare in quanto tale: a quest'ultimo si attribuisce rilevanza in via meramente indiretta, cioè per il tramite del titolare del diritto di abitazione, che resta il "protagonista" della fattispecie”.